Racconto2

Grazie perché, entrando in questa pagina, vi state concedendo una pausa di “buono e sano relax”… e grazie soprattutto perché, entrando in questa pagina, state concedendo a me e al mio racconto la possibilità di contribuire in questo.

“In onda”

Parcheggiò al solito posto, ma, prima di scendere dalla sua auto, aggiustò lo specchietto retrovisore per riuscire a guardarsi meglio e passò più volte le mani tra i capelli.
Aprì la portiera, scese allacciando uno dei bottoni della sua giacca, sbattè quella stessa portiera per richiuderla e, solo dopo aver sentito il doppio bip dell’antifurto azionato, si allontanò.
Camminò fino all’ingresso del palazzo, oltrepassò la porta a vetri girevole e si diresse verso l’ascensore.
Entrò e salì al quinto piano, che corrispondeva al suo luogo di lavoro.
Dopo essere entrato nello studio, tolse la giacca lanciandola su una sedia e allentò il collo della camicia.
“Ciao” sentì dire alle sue spalle “sei in anticipo questa sera.”
Guardò prima il collega e poi l’orologio… le sette e dieci, mentre lui avrebbe dovuto iniziare fra non meno di venti minuti.
“C’era poco traffico oggi” spiegò, mentre l’altro era impegnato a sistemare carte e faldoni nell’armadio posto lungo la parete di fondo.
Entrò poi al centro della sua postazione, circondata per metà da vetrate che ne segnavano il mezzo perimetro.
Si sedette sulla poltroncina girevole, distese gambe e braccia respirando lentamente, per concedersi quei pochi minuti di relax prima dell’inizio.
“Due minuti e sei in onda, Roger!”
Al sentir pronunciare quelle parole, alzò il pollice di entrambe le mani verso la vetrata davanti a lui, che mostrava il suo collega e amico Robbie già indaffarato a sistemare la consolle audio della trasmissione radiofonica, che stava per essere inviata nell’etere.
Prese la cuffia e la indossò, scartò velocemente una caramella di menta ghiacciata e, dopo averla masticata in fretta, si schiarì più volte la voce.
A un tratto scosse il capo… era da dieci anni che lavorava per quella emittente, per la quale sceglieva le compilation di musica che, insieme ai suoi monologhi, avevano il compito di tenere incollati a quella frequenza più ascoltatori possibile… e quel lavoro gli era sempre andato a genio!
Ma l’idea, partita dalla direzione un mese prima, di sperimentare un nuovo programma d’intrattenimento serale, con scadenza bisettimanale, basato sui problemi di cuore non coincideva esattamente con la sua predisposizione professionale, né tanto meno con quella personale!
E questo perché Roger Brown, all’età di quarant’anni suonati, non aveva ancora mostrato la minima intenzione di mettere la testa a posto e, nonostante le insistenze di sua madre, non nutriva nemmeno il desiderio di sistemarsi a tempo indeterminato con qualche brava ragazza.
Quindi, parlare a viva voce di sentimenti e dare magari anche consigli su come affrontare un qualunque problema di coppia non solo lo metteva in visibile difficoltà, ma lo portava a convincersi sempre più che quel ruolo gli stesse assolutamente stretto, precisamente come la scarpetta di Cenerentola al piede di una sua qualunque sorellastra.
Ma il titolare della radio era pur sempre il suo capo e a lui non era rimasto altro da fare che accettare, fingendo anche un falso sorriso di compiacimento per quella nuova e brillante idea!
E così, dopo aver trascorso la prima settimana sperando che il telefono squillasse il meno possibile durante le quattro ore totali di diretta, gli rimanevano ancora tre settimane di quel programma in prova.
“Quattro… tre…” la voce di Robbie lo riportò al presente.
“… due… uno… in onda!”
“Buonasera a tutte le persone in ascolto” esordì “qui è Roger Brown a parlarvi; che stiate rientrando a casa o che stiate preparando la cena, vi terremo compagnia per le prossime due ore…e, se volete intervenire, vi ricordo il nostro numero…” scandì bene le cifre che ormai conosceva a memoria “… iniziamo il nuovo programma di cuore con una canzone che vi farà venire i brividi! Parola del vostro Roger Brown… wow!”
Portò la testa leggermente all’indietro, mentre alle sue orecchie arrivavano già scandite le prime note.
Guardò poi in direzione del telefono… avrebbe squillato?
“Siete ancora con noi?” riprese, non appena le note di quella prima canzone accennarono a diminuire “saggia decisione… e ora passiamo…” s’interruppe nel momento in cui avvertì il suono del telefono.
Lo osservò “qualcuno si sta mettendo in contatto con noi…”
… chiunque fosse, perché mai aveva composto il loro numero?
“Pronto, con chi ho il piacere di parlare?” domandò molto gentilmente.
“Ciao, mi chiamo Steven” si presentò l’ascoltatore.
“Steven… molto bene… come possiamo esserti utili?” gli domandò.
“Ieri sera ho litigato con la mia ragazza…” esordì.
Roger inspirò profondamente…
“Non sto qui ad annoiarvi con il racconto della lite…”
… tirò un sospiro di sollievo…
“Vorrei che mi aiutassi a organizzarle una sorpresa questa sera” disse.
Roger inarcò le sopracciglia… che cosa ne sapeva lui di organizzare sorprese, quando non gli era mai nemmeno passata per la mente la prospettiva di farne una!
“Una sorpresa!” annuì, guardando Robbie che alzò le spalle “ma che bella idea ha avuto il nostro amico!” già, proprio una grande e bella idea!
Si massaggiò il mento… doveva farsi venire in mente qualcosa.
“Preparale una cenetta romantica, magari a lume di candela…”
… era tutto quello che la sua fantasia era riuscita a produrre…
L’altro rimase in silenzio qualche istante… “ci avevo pensato anch’io, ma la verità è che non so cucinare…” si scusò.
… bè, quello non costituiva un problema, soprattutto per un single come lui che era abituato a mangiare fuori o a farsi portare la cena a casa.
“Non ti preoccupare… telefona a un ristorante e prenota i suoi piatti preferiti e specifica che devono portarveli ben caldi…” gli consigliò.
… era quello che precisava lui alla ragazza che prendeva le ordinazioni.
“Giusto…” commentò l’altro.
“Cosa ne dici di aggiungere anche un bellissimo mazzo di rose? Piacciono sempre molto alle donne…”
… e fanno anche sempre molta scena…
“Rose rosse… mi sembra perfetto, grazie, mi sei stato davvero d’aiuto!”
“Non mi devi ringraziare, Steven… spero solamente che la serata tua e della tua ragazza vada nel migliore dei modi e… mi raccomando non dimenticarti la musica di sottofondo.”
… quella era, più che altro, una deformazione professionale…
“Lo terrò a mente… grazie ancora.”
“Di niente, Steven” lo salutò, appoggiandosi allo schienale della sedia.
… era andata bene… pensò… almeno quella volta…
“E adesso, per accompagnare i romantici preparativi del nostro amico che ha appena chiamato, dedichiamogli una canzone d’amore… se non servirà a ispirarlo ulteriormente, sarà senz’altro un piacere per tutti noi ascoltarla… vai con le prime… prime dolci note… wow!”
… ce l’aveva fatta e anche in maniera egregia…
Osservò nuovamente il telefono, sperando che lo avrebbe risparmiato almeno per la mezz’ora successiva.
Buttò fuori l’aria in un solo colpo, poi mise meglio a fuoco il foglio che Robbie gli aveva incollato al vetro davanti.
… scoppiò a ridere, mentre leggeva le poche parole che il suo amico gli aveva appena scritto… niente male, Casanova!!
Ridendo ancora, si aggiustò la cuffia e si schiarì la voce, attendendo di tornare a essere di nuovo in onda.
Guardò in direzione dell’amico che alzò il pollice verso di lui.
“Eccoci di nuovo qui insieme… abbiamo già trascorso la prima parte di questa trasmissione aiutando Steven che riuscirà a farsi perdonare dalla sua ragazza… ma ora direi di lasciarli soli e di tornare alla nostra musica romantica, una musica che difficilmente tramonterà…”
Trasalì nel sentire il telefono squillare di nuovo.
Chiuse gli occhi, inspirando profondamente…
… e adesso cosa si sarebbe dovuto inventare se qualche altro ascoltatore gli avesse chiesto ulteriori consigli per compiacere la propria compagna?
Scosse la testa, mentre sentì il click del telefono.
“Pronto… quale amico ha deciso di mettersi in contatto con noi?”
… nessuna risposta…
Attese qualche altro istante per dare modo a quell’ascoltatore, forse un po’ troppo timido, di riuscire a rispondere… niente…
“C’è qualcuno dall’altra parte?… probabilmente si tratta di una persona piuttosto timida” sorrise “non aver timore, amico o amica, siamo qui per ascoltarti” lo invitò educatamente.
“Sì…”
Roger sentì pronunciare quella debole sillaba, mascherata dal tono di voce basso e titubante… si trattava unicamente di timidezza?
“Da dove ci stai chiamando?” continuò.
Pensò che iniziare a porgli lui qualche domanda fosse il modo migliore per riuscire a rompere il ghiaccio.
Avvertì un lieve sospiro dall’altra parte del telefono.
Guardò Robbie che portò gli angoli della bocca verso il basso.
“Mi trovo…” rispose l’altro sempre con un sottilissimo e appena percettibile filo di voce, che però s’interruppe subito.
“Puoi parlare un po’ più forte, per favore?” gli chiese Roger, mentre faceva segno a Robbie di aumentare l’audio all’interno delle sue cuffie.
Il suo collega alzò le spalle, scuotendo il capo e dandogli a intendere che non fosse un problema legato al loro audio.
“… temo di non aver sentito… ti dispiace ripetere quello che hai detto?”
“Mi trovo su un ponte” completò solo adesso la frase.
… la voce era maschile e anche piuttosto giovane.
Roger inarcò le sopracciglia… su un ponte?
“Su un ponte?” ripetè, per avere conferma.
“Proprio così” la voce era sempre bassa, ma adesso almeno si riuscivano a distinguere le parole che pronunciava.
“E su quale dei tre ponti della nostra bellissima città ti trovi in questo momento?” ironizzò, per rendere la domanda più leggera.
“Sul ponte dell’East River” specificò.
Roger annuì… lo conosceva piuttosto bene, dato che era solito percorrerlo per raggiungere casa dei suoi genitori.
“Ho capito…” commentò, ma fu portato a chiedersi cosa avesse spinto quell’ascoltatore a telefonare alla sua trasmissione.
Comprese subito che non sarebbe stato semplice carpirgli ulteriori informazioni e, sebbene non conoscesse i motivi di tanta reticenza, continuò la conversazione… se di conversazione si poteva parlare…
“Stai tornando a casa?” provò a ipotizzare.
“No” fu la risposta… un altro solo e singolo monosillabo.
“Stai andando da qualche parte?” provò a domandargli.
“Sto guardando l’acqua…” lo interruppe l’altro.
Roger arricciò la fronte… l’acqua?… ripetè dentro di sé.
Guardò Robbie, che dalla vetrata stava scuotendo il capo.
“Sai, non mi ero mai fermato a guardarla e nemmeno mi sono mai accorto di quanto sia scura e profonda l’acqua a quest’ora della sera…” pronunciò tutte quelle parole lentamente, parole che arrivarono come trascinate a forza lungo una mal velata e altrettanto non celata angoscia.
Roger dovette ingoiare a fatica… qualcosa in quella voce stava cominciando a metterlo a disagio e anche parecchio.
… forse a causa del tono… lento… calmo… fin troppo pacato…
Ingoiò di nuovo a fatica “perché stai guardando l’acqua, amico?”
Non seppe spiegarsi il motivo, ma iniziò a temere la risposta che di lì a poco avrebbe potuto anche sentire.
Robbie prese a battere più volte una mano sulla vetrata, per attirare l’attenzione dello speaker, ma senza ottenere nemmeno la più piccola briciola della sua attenzione.
Poi le parole che mai avrebbe voluto sentirgli pronunciare.
“Non mi resta altro da fare…”
Roger spalancò gli occhi, avvertendo un brivido agghiacciante percorrergli il corpo … che cosa voleva dire con quelle parole?
Slacciò il primo bottone della camicia… l’aria cominciava a passare con evidente difficoltà.
“Cosa… cosa significa che non ti resta altro da fare?” domandò, ma l’altro non rispose… rimase in assoluto silenzio…
“O.K… O.K… perché non mi dici come ti chiami?”
… sperava rispondesse… ma niente… nessun’altra parola…
Guardò Robbie che si agitava, dandogli a intendere di lasciar stare.
Solo allora lesse il foglio che il suo collega aveva prontamente appiccicato al vetro… è uno scherzo! Taglia corto!
Roger scosse il capo respirando profondamente.
“Pronto!” insistette.
Non guardò più nemmeno Robbie che adesso si stava muovendo nervosamente, facendogli segno di continuare con la musica; arrivò anche ad alzargli la copertina del cd musicale successivo, senza riuscire ad attirare la sua benché minima attenzione.
“Per favore… ci sei ancora?” non voleva demordere “sei ancora al telefono?” insistette ulteriormente.
Poi finalmente la voce… “sì… sono qui.”
Roger poté tirare un sospiro di sollievo.
“Ascolta… perché non mi dici come ti chiami?” gli chiese un’altra volta, mantenendo il tono decisamente gentile.
Solo un altro istante di silenzio… “Timothy…”
“Timothy” ripetè lui “… mi hai detto che stai guardando l’acqua da un ponte… perché sei lì? Perché non torni a casa?”
… cosa avrebbe dovuto aspettarsi come risposta?
“Io non ho più una casa” precisò con tristezza e delusione.
Roger chiuse gli occhi, mordendosi più volte il labbro inferiore… capì che adesso doveva assolutamente mantenere la calma.
“… non mi ama più… mi ha detto solo questo…” specificò con voce rotta dal pianto “lei era tutto quello che avevo e adesso non ho più niente… più niente!” alzò di un tono la sua voce.
Lo sconforto e il panico erano le uniche cose che Roger ora riusciva a captare da quelle parole… cosa avrebbe dovuto fare, adesso?
“Non è vero che non hai più niente” cercò di rassicurarlo e di farlo ragionare, sebbene non conoscesse i motivi di quello al quale stava, suo malgrado, assistendo anche solo indirettamente.
“E tu che ne sai?” gli chiese duramente l’altro.
… giusto… cosa voleva saperne lui di problemi d’amore?
“Potrei porre fine a tutto…” disse poi quella debole voce.
“Che cos’è questo rumore?” gli chiese allarmato, dopo aver sentito un fruscìo accompagnare la voce di quel giovane.
“Mi sono avvicinato all’acqua… è fredda, sai?…”
“Timothy, non fare pazzie! Per favore, ascoltami!” lo stava letteralmente supplicando, mentre il magone cominciava a salirgli lungo tutta la gola.
… non sapeva esattamente cosa stesse succedendo su quel ponte, ma il panico lo aveva assalito all’improvviso e adesso lui temeva in un risvolto negativo di tutta quella faccenda.
“So che sei sconvolto, ma prenditi del tempo per riflettere…”
“Non servirebbe a niente!” incalzò il giovane a voce parecchio più alta.
“Ascoltami… ascoltami, per favore… so che stai soffrendo e lo capisco dalla tua voce; però credimi se ti dico che quello che adesso ti sembra la fine di tutto… in realtà non lo è” ingoiò a fatica.
… come avrebbe dovuto o potuto continuare?
… come, se lui mai si era trovato in una situazione del genere?
… ma sentiva che doveva aiutarlo… doveva aiutare Timothy.
“Stammi a sentire…” continuò “concediti del tempo per riuscire a superare questo brutto momento…”
“… non voglio concedermi più niente!”
“E allora concedilo a me!” esordì “cinque minuti per bere insieme un caffè, ti chiedo solo questo” avvertì il respiro non seguire più un regolare andamento dentro quella stretta alla gola, che non gli dava più tregua.
“Non servirebbe… mi dispiace, ma non servirebbe…”
… poi più nulla… assolutamente più nulla.
“Timothy… sei ancora lì?” chiese, sperando rispondesse.
Ma avvertì solo un suono molto più intenso del precedente… forse un tonfo… e fu quello stesso suono a bloccargli definitivamente il respiro, esattamente all’altezza della gola.
Vide solamente Robbie fare irruzione nella stanza e dare l’avvio alla successiva canzone in programma.
“Ma che cosa stai combinando? Ha già chiamato due volte il capo… era furioso! Ti sta dando di volta il cervello?” gridò.
Roger lo guardò o, più precisamente, perse lo sguardo nel vuoto che lo separava dal collega mentre gli occhi accennavano a gonfiarsi di lacrime.
“Non è più in linea” riuscì a dire solamente.
“Era uno scherzo, Roger! Solo uno scherzo!” Robbie scosse la testa “rimettiti al lavoro e inventa qualcosa con gli ascoltatori; io vado di là e cerco di rimediare col tuo capo, che si dà il caso sia anche il mio capo!” pronunciò a voce decisamente alta quelle ultime parole.
… inventarsi qualcosa?
Timothy non stava mentendo o scherzando!… ne era convinto…
Si passò più volte le mani tra i capelli; poi, all’improvviso, tolse d’istinto la cuffia dalle orecchie e si alzò di scatto.
“E adesso dove stai andando?” ma lui non rispose nemmeno “Roger!” lo chiamò l’amico, ma l’altro non gli diede minimamente retta.
Corse giù dalle scale saltando velocemente i gradini due a due, oltrepassò la porta vetri e montò in macchina in tempo record; poi partì, lasciando sull’asfalto della carreggiata l’impronta rapida dei suoi pneumatici.
Il ponte dell’East River…doveva raggiungerlo e anche il prima possibile.
Lanciò la sua auto a velocità sostenuta, approfittando delle strade piuttosto libere a quell’ora della sera.
Le parole di Timothy continuavano a ripetersi all’interno della sua mente e, ogni volta, gli sembrava che assumessero un connotato sempre più reale, ma purtroppo anche sempre più angosciante.
Con il cuore in gola raggiunse il ponte e volò fuori dall’auto.
Si guardò intorno… niente… assolutamente niente di niente… solo l’oscurità che aveva ormai già preso il sopravvento.
Corse per tutta la lunghezza del ponte, ma non vide nessuno.
Si fermò a riprendere fiato; poi si sporse e guardò l’acqua.
Annuì… decisamente scura e profonda a quell’ora della sera.
Ripercorse di nuovo tutto il ponte e scese in riva al fiume, dove l’acqua raggiungeva quell’accenno di spiaggia costituita da ciottoli e pietre.
Non c’era nessuno… solo qualche macchina che percorreva il ponte.
Alzò la testa verso il cielo e chiuse gli occhi… ingoiò più volte.
… che Robbie avesse ragione?
Si guardò un’ultima volta intorno e poi annuì… probabilmente sì.
Se Timothy fosse stato su quel ponte, lo avrebbe trovato ancora lì.
Rientrò in radio e, sopportando in silenzio le lamentele di Robbie che aveva dovuto inventarsi chissà che cosa per intrattenere gli ascoltatori in sua assenza, indossò la sua cuffia e continuò il programma.
Il telefono squillò solo due volte e, in entrambi i casi, si trattava di persone che domandavano un consiglio riguardo l’organizzazione di serate speciali, magari in occasione di un compleanno o un anniversario.
A ogni squillo Roger trasaliva e rispondeva, sperando in nemmeno lui sapeva cosa.
Si era più volte ripetuto che Timothy non esistesse affatto.
… ma allora perché la sua mente andava continuamente alle parole che aveva sentito al telefono e che gli ritornavano insistenti nella memoria?
… parole condite con quell’ abbondante dose di paura e angoscia che lo avevano accompagnato per tutta la durata della telefonata.
Roger fu l’ultimo a uscire dalla stazione radio quella sera.
Una volta solo, era rimasto seduto, gli occhi chiusi a osservare il vuoto.
Poi, quando riuscì a confermare e promettere alla sua mente che non avrebbe più pensato a quanto successo, si alzò, infilò la giacca, allacciò i bottoni e, dopo aver dato un’ occhiata in giro, uscì dallo studio.
Scese le scale e, prima di varcare la porta, alzò il colletto della giacca per ripararsi dal vento che già sentiva tra le foglie e i rami degli alberi.
Percorse alcuni veloci passi in direzione della sua auto parcheggiata… tutto intorno a lui era silenzioso e buio… ancora solo l’ululato del vento ad accompagnare il rumore dei suoi solitari passi.
Avvertì, a un tratto, la presenza di qualcuno.
Si voltò di scatto… vide prima un’ombra, poi un’ immagine che si avvicinava lentamente.
“Sei tu Roger?” si sentì chiedere all’improvviso.
Annuì, non prestando però molta attenzione alla persona, immobile davanti a lui, che lo stava fissando senza dire nemmeno una parola.
Stava attendendo che l’altro gli chiedesse qualcosa, quando i suoi occhi furono attratti da qualcosa… mise meglio a fuoco… spalancò lo sguardo…
Sì… i suoi pantaloni erano decisamente bagnati dalle ginocchia in giù.
Alzò d’istinto gli occhi verso il giovane “Timothy?” gli chiese sbalordito.
Il ragazzo annuì lievemente, abbassando la testa.
Roger si portò una mano alla bocca… poi inspirò profondamente.
“Grazie al cielo!” buttò fuori l’aria in un solo veloce colpo liberatorio.
Solo allora si rese conto di aver sperato con tutto se stesso che Robbie avesse ragione solo per evitare di pensare a una possibile e angosciante conclusione negativa… ma adesso, con Timothy a pochi metri da lui, la gioia di vederlo fu indescrivibile.
“Non sapevo cosa pensare, ma sono enormemente felice che tu sia qui!”
“Mi stavo domandando…” disse il giovane “… se il tuo invito per quel caffè fosse ancora valido.”
Aveva bisogno di parlare con qualcuno e il suo sguardo, unito alla sua espressione, lo dimostrava perfettamente.
Roger annuì, contento che si fosse rivolto a lui… un’altra volta a lui.
“Certo che sì, Timothy… e sarà valido tutte le volte che vorrai.”
Il ragazzo sorrise… non si era sbagliato sull’ impressione che quello speaker radiofonico gli aveva fatto nel momento in cui, alla guida della sua auto quella sera, aveva acceso la radio tra lacrime e disperazione.
Mentre si allontanavano verso il vicino bar all’angolo, Roger si voltò in direzione del condominio che ospitava la sua emittente radiofonica.
L’idea, che la direzione aveva avuto qualche settimana prima riguardo quel nuovo programma d’intrattenimento serale, non era poi così male… anzi era davvero la proposta migliore che gli avessero mai fatto.
Aveva probabilmente salvato una vita e lui si sentiva orgoglioso di come avesse affrontato la situazione con il giovane Timothy.
Annuì un’ultima volta… sì, era davvero un’idea brillante…
… solo ora riusciva a rendersene conto…

**Racconto pubblicato in data 18 dicembre 2019**

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6 pensieri riguardo “Racconto2

  1. L’ho letto tutto di un fiato, bellissimo come sempre. La tua scrittura merita di essere valorizzata e spero che ciò avvenga presto . continua così

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  2. Ho letto il tuo racconto … all’inizio con un approccio stanco e superficiale. Poi, man mano che andavo avanti, mi sono drizzato meglio con la schiena, e l’ho terminato voracemente. Beh … la lettura di questo racconto mi ha sorpreso. Mi sono accorto di essere alle prese con una vera scrittrice: chiara, incalzante e con il giusto dono della sintesi. Brava …

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    1. Ciao Pino… grazie mille. Sei davvero molto gentile e sono contenta che il mio racconto ti sia piaciuto. Arrivare così alle persone mi riempie di gioia. Spero che anche gli altri ti piacciano allo stesso modo. Grazie.

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